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Cacio&pepe di Fiordelli per scoprire storia, cultura, sapore

Tempo lettura: 4 minuti

(Agen Food) – Roma, 5 mag. – di Olga Iembo – Pasta, Pecorino Romano e pepe nero. Solo tre ingredienti per un gioiello della cucina che soddisfa il palato ed esalta l’italianità a tavola. E’ la cacio e pepe, la pasta che ha saputo conquistare il mondo e che troneggia sulle tavole familiari come nelle più rinomate cucine.

Non a caso la cacio e pepe è la protagonista del terzo capitolo della collana scritta dal giornalista critico enogastronomico Aldo Fiordelli (casa editrice Gruppo Editoriale), che con “Cacio&pepe, un cult romano interpretato dai migliori osti e chef” punta a replicare i successi di “Fiorentina, osti macellai e vini della vera bistecca”, e “Il risotto alla milanese, il piatto della tradizione interpretato dai migliori osti e chef”.

“Dopo un’esperienza ventennale a l’Espresso ho voluto intraprendere questo viaggio alla scoperta di piatti rappresentativi che descrivono la fisionomia della cucina italiana, e non potevo che approdare a questa straordinaria ricetta la cui forza sta nell’essenzialità: pasta, cacio e pepe, una sintesi di storia, cultura e gusto” ha spiegato ieri Fiordelli nel corso della presentazione in anteprima del suo libro che si è tenuta all’Hotel Eden, a Roma. “Una ricetta straordinaria in cui proprio la semplicità genera uno spettro ampissimo, dove non c’è un piatto che risulti uguale all’altro, ma che conosce una quantità di variazioni sul tema di cui ho voluto raccontare storie, aneddoti, dettagli. Il mio obiettivo, comunque, è stato quello di fornire elementi il più possibile oggettivi, per la scelta di locali d’eccellenza che propongono questo caposaldo della cucina italiana, e tra i più rappresentativi della cucina romana”.

Il cuore di Cacio&pepe, con le sue 196 pagine in italiano e inglese, e più di 250 fotografie inedite di Dario Garofalo, è proprio la selezione di 40 fra ristoranti e osterie che interpretano la ricetta a Roma, nel Lazio, in Italia e nel mondo, con 25 locali della Capitale, 12 di fuori città, e altri di Londra, Parigi e Dubai. Per ogni ristorante vengono raccontate curiosità, oltre alle informazioni tecniche sulla tipologia e qualità di pasta, pepe, Pecorino romano dop, tempi di mantecatura, passaggi salienti nell’esecuzione e la descrizione del vino ideale in abbinamento.

Un “monumento” alla cacio e pepe che, del resto, vanta cantori d’accezione che ne hanno tessuto le lodi, come Roberto Benigni e, prima di lui, Aldo Fabrizi e, molto prima ancora, Gioacchino Belli nel lontano ‘800, come hanno voluto ricordare gli ospiti presenti ieri alla presentazione del libro. A cominciare dal “gastronauta” Davide Paolini, autore dell’introduzione, il quale ha raccontato come “una paternità della cacio e pepe non c’è. Potremmo dire – ha scherzato – che è figlia di nessuno e, proprio per questo, straordinariamente adatta alle libere interpretazioni, fermo restando, comunque, la sua capacità di rappresentare la cucina italiana per via dell’importanza delle materie prime dato che, a parte il pepe che è importato, cacio e pasta sono italiani ed esaltano il valore della nostra cucina”.

Proprio Paolini, nel testo, accenna a una derivazione pastorale della cacio e pepe, poiché “si narra – ha raccontato – che durante la transumanza i pastori dell’agro romano riempissero la bisaccia con alimenti fra cui un pezzo di cacio pecorino, un sacchetto di pepe e spaghetti, da cui sarebbe nata la famosa ricetta”. “Ma la verità – ha ragionato Paolini – è che questo piatto di origine ‘burina’ nasce dalla semplicità, e dall’importanza degli ingredienti”.

Ingredienti “protagonisti” anche nella nascita del libro di Fiordelli, realizzato con la collaborazione del Consorzio Pecorino Romano Dop, e della pasta UNO.61, fatta con semola di grano duro biologica al 100% italiana selezionata e trafilata in oro. Tanto che, oltre all’autore del volume, ieri ha preso la parola anche Riccardo Pastore, direttore del Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano.

Un formaggio dalle origini millenarie, di cui già raccontava nientemeno che Marco Gavio Apicio, gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., e che mangiavano i legionari i quali, nelle proprie razioni di cibo, avevano appunto un’oncia di pecorino. Uno dei principali ingredienti della cacio e pepe, ed esclusivo prodotto nazionale derivato dal latte di pecore sarde allevate allo stato brado nel Lazio, in Maremma, ma per lo più in Sardegna. “Perché – ha raccontato Pastore -, si chiama ‘romano’ per via della sua nascita, ma a metà dell’800 il ‘sindaco’ di Roma fermò la produzione che fu spostata in Sardegna dove adesso se ne produce il 95%, mentre il 4% nel Lazio e l’1% in Toscana. Questo formaggio salato (trattato una volta con ‘7 mani di sale alla forma’ oggi ridottesi a 3) continua ad essere amato in Italia e all’estero, basti pensare che trova il 60% del suo mercato negli Stati Uniti, e la sua produzione in oltre duemila anni di storia si è evoluta seguendo trend e nuove esigenze, sempre alla ricerca di soluzioni innovative che, soprattutto, aiutino a superare il grande problema del cambio generazionale al livello degli allevamenti”.

Soluzioni indispensabili, per salvaguardare e implementare sempre più la produzione di questo eccellente alimento, che vanta proprietà nutritive speciali, e che è un ingrediente imprescindibile nella cucina italiana, a cominciare dalla preparazione della cacio e pepe sulla quale, ieri, si sono espressi alcuni chef presenti in rappresentanza dei tanti locali cult citati nel volume di Fiordelli: lo chef Claudio di Armando al Pantheon; lo chef Jacopo di Felice a Testaccio; nonché lo chef stellato Fabio Cervo, de La Terrazza (all’Hotel Eden) che, al termine della presentazione, ha regalato una degustazione della sua famosa versione di questa deliziosa ricetta.

Redazione Agenfood

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