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Intervista a Mauro Fontana, presidente Unione italiana olio di palma sostenibile: “Sfatare falsi miti, ecco quello che c’è da sapere”

Tempo lettura: 10 minuti

(Agen Food) – Roma, 04 ago. – di Olga Iembo – L’olio di palma è dannoso per la salute e la sua produzione devastante per l’ambiente? Queste a altre domande aleggiano nella mente di molti, senza ancora aver trovato risposte. L’olio di palma “questo sconosciuto”. Sì perché, ancora, più o meno inconsciamente nel fare la spesa si tende a prendere dai banchi le confezioni con la scritta “senza olio di palma”, ma senza un convinto perchè. Una corretta informazione è sempre fondamentale, e allora per saperne di più Agen Food ha rivolto alcune domande a Mauro Fontana, presidente Unione italiana olio di palma sostenibile. Fontana, dopo una carriera manageriale cinquantennale che lo ha portato a ricoprire posizioni apicali in aziende nazionali e multinazionali, dal 2021 ha assunto anche la carica di Presidente del Cluster Nazionale Agrifood CL.A.N., l’Associazione multi-stakeholder che aggrega Imprese, Associazioni di categoria, Università, Organismi di ricerca, Enti di Formazione e Rappresentanze territoriali operanti nel settore agroalimentare, fungendo da cabina di regia e interlocutore privilegiato nella relazione con le Istituzioni nazionali in materia di Ricerca e Innovazione. E quando nel febbraio 2022 ha preso le redini dell’Unione italiana olio di palma sostenibile ha esordito svelando il suo intento: “Intendiamo tutelare e dare voce a tutte le realtà virtuose che si riconoscono nei nostri obiettivi e in quelli dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dell’Accordo di Parigi”.

Presidente Fontana, cominciamo dal principio. Cosa vuol dire olio di palma sostenibile?

“L’olio di palma è definito sostenibile se risponde ad una serie di requisiti fondamentali: ha origini conosciute e quindi tracciabili; è prodotto senza convertire foreste e nel rispetto degli ecosistemi ad alto valore di conservazione e elevato stock di carbonio; è prodotto con pratiche agricole atte a preservare le torbiere; non proviene dalla conversione in piantagioni di aree sottoposte ad incendi volontari; protegge i diritti dei lavoratori, popolazioni e comunità locali; promuove lo sviluppo dei piccoli produttori indipendenti. Approvvigionarsi con olio di palma certificato sostenibile significa quindi rispetto per l’ambiente e le persone. L’Unione è stata costituita proprio per far conoscere e diffondere in modo oggettivo la serietà ed i continui progressi della filiera dell’olio di palma sostenibile e promuoverne l’impiego da parte delle aziende italiane produttrici di beni di largo consumo”.

Come sapere con sicurezza che una certa produzione risponde ai corretti criteri di sostenibilità?

“Il principale standard di sostenibilità dell’olio di palma è quello definito dalla Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), alla quale l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibilile aderisce come membro affiliato. RSPO è una piattaforma multistakeholder fondata nel 2004 per iniziativa del WWF e di alcuni produttori che si è data l’obiettivo di definire cos’è l’olio di palma sostenibile e a far sì che questa definizione sia sempre rilevante e risponda alle aspettative di tutti gli stakeholder, stabilendo standard di certificazione di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, che vengono sistematicamente aggiornati ed implementati. Il rispetto degli standard di sostenibilità viene verificato periodicamente e certificato da enti terzi indipendenti accreditati a livello internazionale. Oggi oltre il 95% dell’olio di palma utilizzato in Italia dall’industria alimentare è certificato sostenibile. L’Italia è il quinto paese al mondo e il terzo in Europa per numero di aziende associate a Rspo, con oltre 250 realtà produttive aderenti e 267 licenze Supply Chain Certification, e il dato è in costante crescita”.

Oggi si parla molto di sostenibilità, ma l’Unione italiana olio di palma sostenibile è nata diversi anni fa. Con quali obiettivi?

E’ un’organizzazione costituita nel 2015 da un gruppo di Associazioni di Categoria e Aziende attive in vari settori dei beni di largo consumo nei quali viene utilizzato l’olio di palma sostenibile. In uno scenario connotato da una pluralità di voci ed un dibattito spesso polarizzato, l’obiettivo dell’Unione è quello di promuovere e sostenere l’utilizzo di olio di palma certificato sostenibile e diffondere una corretta ed oggettiva informazione in merito, basata su evidenze scientifiche. L’Unione dialoga con imprese, media, istituzioni e consumatori portando l’attenzione del dibattito sulle tre dimensioni della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica”.

Presidente come rispondere nel vostro campo alle tre dimensioni della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica?

“Come spiegavo prima, l’olio di palma sostenibile viene prodotto rispettando una serie di requisiti: in primis il rispetto dell’ambiente, grazie al divieto di deforestazione e ricorso ad incendi volontari. Ma la filiera non si pone solo obiettivi di sostenibilità ambientale ma anche quella sociale ed economica. I Principi e Criteri RSPO si raccordano infatti ai tre pilastri– People, Prosperity, Planet – e sono strettamente correlati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGS)dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: Adottare un comportamento etico e trasparente; Operare in maniera legale e rispettare i diritti; Ottimizzare la produttività, l’efficienza, gli impatti positivi e la resilienza; Rispettare le comunità e i diritti umani e apportare benefici; Sostenere l’inclusione dei piccoli coltivatori; Rispettare i diritti e le condizioni dei lavoratori; Proteggere, conservare e valorizzare gli ecosistemi e l’ambiente. La filiera dell’olio di palma contribuisce in modo significativo allo sviluppo economico e sociale dei Paesi produttori, garantendo ritorni economici positivi, buoni livelli occupazionali e un generale miglioramento nell’accesso ai servizi sociali, in particolare nelle zone rurali. Con l’adozione di standard di produzione sostenibili come quelli previsti da RSPO (o equivalenti) è possibile assicurare uno sviluppo sostenibile della filiera nel lungo periodo, nel rispetto dell’ambiente, della biodiversità e dei diritti dei lavoratori e delle comunità. La produzione sostenibile di olio di palma accelera il raggiungimento degli obiettivi socio-economici, assicurando migliori condizioni di lavoro e crescita economica, parità di genere, riduzione delle diseguaglianze e lo sviluppo di un sistema agroindustriale più equo, responsabile e resiliente. e diverse analisi e studi scientifici lo confermano. Non va trascurato il fatto che l’olio di palma è l’olio vegetale più versatile ed efficiente al mondo, con una resa per ettaro decisamente superiore a qualsiasi altra coltura oleaginosa. E poiché la popolazione globale continua a crescere, sia numericamente che come qualità dell’alimentazione, l’olio di palma ha un ruolo chiave anche nella lotta all’insicurezza alimentare, essendo tra l’altro un alimento alla base delle diete di diversi Paesi, tanto da essere la quinta fonte di calorie nel mondo, dopo mais, riso, grano e soia”.

L’olio di palma ha un campo di utilizzo molto vasto. Rispettando i canoni della sostenibilità si può riuscire a soddisfare le esigenze della produzione?

“Certamente. Lo dimostrano le aziende che già lo utilizzano nei diversi settori merceologici, non solo alimentari ma anche cosmesi, detergenza e oleochimica, e che, ad oggi, hanno permesso il raggiungimento di una quota di olio di palma sostenibile pari al 20% della produzione mondiale di olio palma. Il problema piuttosto è che la domanda di olio di palma certificato sostenibile oggi è ancora inferiore all’offerta, e quindi spesso l’olio di palma certificato sostenibile viene venduto come convenzionale. Questo rappresenta un grosso limite allo sviluppo della filiera, perché i coltivatori, soprattutto gli smallholders (piccoli agricoltori) non sono sempre incentivati ad investire in un percorso di sostenibilità, anche a causa delle campagne di boicottaggio. E’ importante fare corretta comunicazione per spiegare che esiste un olio di palma certificato sostenibile, che è la scelta giusta per il Pianeta, le Persone e la Prosperità. Lo ha sottolineato recentemente anche Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del WWF Italia, intervenendo  ad un convegno organizzato dall’Unione in occasione del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso dall’ASViS. Grazie ad una resa per ettaro da 4 a 10 volte superiore a quella di altri oli e minori emissioni CO2eq per tonnellata di olio prodotto, se coltivato in modo sostenibile e certificato, l’olio di palma contribuisce sia a soddisfare la crescente domanda di oli vegetali, che a contrastare l’insicurezza alimentare, con un minor impatto in termini di uso di terra e di emissioni di gas serra, a parità di volumi prodotti”.

Presidente quando e come è nata l’idea che l’olio di palma non sarebbe salutare?

“Sfruttando argomentazioni in ambito nutrizionale molto spesso strumentali, semplicistiche e fuorvianti, la lotta commerciale iniziò negli USA a difesa della filiera della soia, ma più recentemente si è estesa anche in Europa a difesa delle filiere della colza e del girasole. Nel 2016 l’EFSA formalizzò uno studio sulla possibile formazione di due contaminanti di processo (3-MCPD e GE) durante la produzione degli olii vegetali, in particolare quando gli oli vegetali vengono lavorati ad alte temperature. Dall’analisi emergeva tra l’altro che, se non trattato correttamente, l’olio di palma era più a rischio degli altri oli perché estratto per spremitura e non con solventi chimici. Questo è bastato per dare il via a una deriva commerciale per sfruttare un presunto vantaggio qualitativo con l’utilizzo di altri oli da parte di diverse aziende alimentari e con l’uso enfatizzato ma anche ingiustificato del claim ‘senza olio di palma’. La verità è che l’EFSA stessa, nel gennaio 2018, ha aggiornato il parere del 2016 sugli esteri di 3-MCPD rivalutando la dose giornaliera tollerabile di tali sostanze e ridimensionando i potenziali rischi per i consumatori, e che la Commissione Europea ha successivamente aggiornato il Regolamento (CE) 1881/2006 del 19 dicembre 2006 che definisce i livelli massimi per la presenza di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari, introducendo nuovi limiti di sicurezza per  GE e 3MCPD per tutti gli oli e grassi vegetali e per alcune categorie di prodotti alimentari destinati ai lattanti ed alla prima infanzia, al fine di prevenire eventuali rischi ed escludere ogni possibile motivo di preoccupazione per la salute. Si è dimostrata quindi l’inesattezza delle allarmistiche campagne commerciali effettuate, in quanto anche l’olio di palma può rispettare senza alcun problema tali limiti. Purtroppo, queste notizie non hanno ricevuto altrettanta attenzione da parte dei media e negli anni si è andato a sedimentare un contesto di disinformazione e false credenze che ha inciso gravemente anche dal punto di vista psicologico sulle scelte dei consumatori”.

In un saggio appena pubblicato Alberto Grandi, professore associato dell’Università di Parma, si appella piuttosto alle caratteristiche organolettiche dell’olio di palma, spiegando che “per esempio, ha permesso di sostituire l’impiego di grassi vegetali idrogenati evitando gli acidi grassi trans, questi sì nocivi per la salute”. Anche il vostro Ente si rifà alle informazioni diffuse dall’Istituto Superiore di Sanità, e alle “Linee guida per una sana alimentazione 2018” del Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione che fa capo al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali…

“Assolutamente sì. Il prof. Grandi ha citato una delle prerogative che hanno fatto dell’olio di palma un ingrediente di successo: da quando si è evidenziata la elevata pericolosità degli acidi grassi TRANS, che si formano con l’idrogenazione parziale, l’olio di palma è stato lo strumento principale per sostituire i GRASSI IDROGENATI che li contengono in quantità significative. L’olio di palma non necessità di trattamenti di idrogenazione grazie alla sua natura solida o semisolida a temperatura ambiente. L’olio di palma è costituito per il 49% circa da grassi saturi (in prevalenza acido palmitico) e per il rimanente 51% da grassi insaturi. C’è moltissima letteratura scientifica che spiega l’importanza dei grassi per la salute umana e spiega altresì qual è la quantità consigliata di grassi da assumere all’interno di un’alimentazione varia e bilanciata. Sia i grassi saturi che quelli insaturi sono indispensabili per il buon funzionamento del nostro organismo, nel quale svolgono un ruolo energetico, strutturale e funzionale. Le linee guida nazionali ed internazionali concordano nel raccomandare che i grassi siano mediamente presenti nella dieta in modo tale da apportare una quantità non superiore al 30% della quota calorica giornaliera complessiva. Per quanto riguarda in particolare gli acidi grassi saturi, si suggerisce di non superare il 10% delle calorie totali. L’olio di palma può far parte della nostra alimentazione nel contesto di una dieta bilanciata. È importante non eccedere nel consumo di alimenti ricchi di grassi saturi, ma non esistono controindicazioni al consumo di olio di palma in particolare. Eliminare dalla nostra dieta gli alimenti che contengono olio di palma non è la strada per contenere il consumo di grassi saturi. Come hanno fatto osservare il Crea e l’Istituto Superiore di Sanità il consumo di grassi saturi nella dieta degli italiani deriva prevalentemente dai prodotti animali (carni e prodotti lattiero caseari) e addirittura dall’olio di oliva, e solo marginalmente dall’olio di palma. Tra l’altro, la letteratura scientifica più recente tende a riconsiderare l’associazione tra grassi saturi e rischio di malattie cardiovascolari e la sua reale importanza, sottolineando la necessità di considerare separatamente i vari acidi grassi, e non solamente le loro categorie generali, come è invece prassi usuale”.

Eppure nell’immaginario collettivo l’idea che l’olio di palma non sia salutare si è ampiamente diffusa. Lo testimonia il fatto che sempre più spesso leggiamo sulle etichette “avvertenze” che recitano “senza olio di palma”…

“Il trend dei prodotti ‘senza olio di palma’ è ormai in documentato declino da due anni come rilevato dall’Osservatorio Immagino (dati 2022), ma certamente il problema è ancora molto sentito perché la disinformazione creata dalle campagne denigratorie degli anni 2016-17 ed i rinforzi successivi, anche se ormai esauriti, ha fatto molti danni che richiedono tempi lunghi per essere chiariti e rimossi dai consumatori. Questo tipo di comunicazione induce il consumatore a pensare che un prodotto privato di qualcosa, in questo caso olio di palma, sia comunque migliore rispetto alla sua versione ‘con’. Questo fenomeno è spiegato molto bene dallo studio diretto da Guendalina Graffigna, Ordinario di  Psicologia dei consumi e della salute, Facoltà Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali – Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore EngageMinds HUB, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Food Sciences and Nutrition, The role of free-from symbols on consumer perceptions of healthiness, quality and intention to buy baked food products”. L’‘effetto senza’ va a stimolare tutto quel mondo emotivo, impulsivo, di senso di colpa del consumatore, tanto da modificarne l’atteggiamento a priori indipendentemente dall’ingrediente eliminato. Secondo la Graffigna ‘questa distorsione cognitiva nel processo valutativo e decisionale può essere fortemente solleticata da tutte quelle iniziative di comunicazione di marketing di persuasione che fanno gancio su questi limiti della razionalità del consumatore’. Inoltre, pochi o nessuno si domandano quale sia l’ingrediente utilizzato in sostituzione e se la stessa abbia apportato un reale miglioramento del profilo nutrizionale del prodotto finale. Come spiegato nelle linee guida per una sana e corretta alimentazione del CREA ‘Quando scegliamo un prodotto che non ha olio di palma non significa che possiamo consumare quel prodotto senza alcuna limitazione’”.

Redazione Agenfood

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