(Agen Food) – Roma, 10 dic. – di Olga Iembo - “Innovazione, sostenibilità e cultura”,…

Giandujotto, con la j. Una storia di Carnevale
(Agen Food) – Torino, 10 dic. – Può un cioccolatino dal peso compreso tra i 4 e i 12 grammi valere, da solo, un viaggio? Un vecchio spot di Carosello, risalente agli anni Settanta, sembra suggerire di sì: raggiunta la stazione di Torino Porta Nuova con un diretto da Zurigo, un turista svizzero si aggira disperatamente per la città della Mole, alla ricerca dei famosi giandujotti. E tornerà a casa soddisfatto, naturalmente, riempiendo un’intera cabina del treno di scatole di preziosi cioccolatini. Altri tempi, un’altra televisione e una Torino che ci appare quasi irriconoscibile, a “soli” cinquant’anni di distanza.
Quello che è rimasto immutato è questo piccolo cioccolatino, dalla peculiare forma di prisma, dall’incarto dorato e dal gusto inconfondibile. Infinite storie e leggende si inseguono intorno alla sua nascita, al suo sviluppo e a come sia diventato così amato e diffuso in tutto il mondo, al punto da diventare, oggi, uno dei simboli della città di Torino. Una delle caselle che è indispensabile spuntare quando si pianifica un viaggio all’ombra della Mole, nonché uno di quei souvenir che non possono mancare, tornando dal Piemonte.
Candidato, con la dicitura Giandujotto di Torino (scritto con la j), al riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta, sarà sicuramente uno dei protagonisti della prossima edizione di CioccolaTò 2026, il grande appuntamento del gusto che andrà ad invadere le strade e i palazzi storici di Torino dal 13 al 17 febbraio 2026. Dal venerdì, al Martedì Grasso, passando per un sabato di San Valentino: sarà un lungo Carnevale tra i piaceri del palato.
Perché, tra tutte le storie legate al Giandujotto, ce n’è anche una di Carnevale.
L’antenato vaniglioso del giandujotto: riscoprire il diablottino
In principio era il diablottino.
Si stenta a crederci, ma dopo la scoperta dell’America e il conseguente arrivo in Europa della fava di cacao, ci vollero ben dueceno anni prima che a qualcuno venisse in mente l’idea di consumare il cioccolato non più solo come bevanda calda, ma anche in forma solida e a crudo, come si fa volentieri oggi.
Lo chiamarono diablottino, quello che viene tradizionalmente considerato il primo cioccolatino della storia, nato proprio nella città di Torino. Prodotto in forma di piccolo disco e aromatizzato alla vaniglia, venne chiamato così forse per l’invitante tentazione a consumarne uno dopo l’altro e diventò rapidamente popolarissimo alla Corte dei Savoia dove, a partire dal Settecento, era servito insieme alla Merenda Reale. Una tradizione riproposta da Turismo Torino e Provincia che abbraccia il Settecento e l‘Ottocento piemontese, passando dalla Corte dei Savoia ai Caffè storici del piccolo Regno, da gustare nei caffè storici o nelle caffetterie delle Residenze Reali aderenti all’iniziativa (www.turismotorino.org).
Merita oggi di essere riscoperto, il diablottino, capitolo in parte dimenticato, ma fondamentale, nella storia dell’arte cioccolatiera italiana ed europea.
Il blocco Napoleonico e la nascita della pasta Gianduja
L’anno è il 1806: Torino è già da quattro anni dentro l’orbita francese e Napoleone, sempre più ai ferri corti con gli inglesi, istituisce quello che passò alla storia come il Blocco Continentale. Niente più navi britanniche nei porti dell’Impero, niente più cacao sugli scaffali delle cioccolaterie europee, se non ad altissimo costo.
Un colpo basso, per una città golosa di cioccolato come Torino. Tuttavia, i pasticcieri locali, gente industriosa e caparbia, trovarono la soluzione perfetta per questa penuria: c’era un frutto che, nel Piemonte dell’Ottocento come in quello di oggi, proprio non mancava mai: la nocciola tonda gentile delle Langhe.
Semplicemente geniale, l’idea di tritarla e aggiungerla alla pasta di cacao, tagliando i costi e fornendo al nuovo prodotto quel sapore inconfondibile che ancora oggi caratterizza la pasta Gianduja. Non si chiamò così, tuttavia, prima di qualche decennio, prima di un carnevale che sarebbe passato alla storia.
Una storia di Carnevale: Torino, 1865
Perché a questa invenzione fosse dato il nome di Pasta Gianduja occorrerà attendere il 1865 quando, in occasione del Carnevale, fu proprio un attore travestito da Gianduja, maschera della città, a distribuire ai passanti uno strano manufatto, avvolto in un involucro di carta, ma del quale si poteva già sentire l’odore prima ancora di scartarlo. Si trattava del primo cioccolatino della storia ad essere incartato singolarmente: si chiamava inizialmente Givù, ma con un testimonial del calibro di Gianduja, non poteva che essere ribattezzato Giandujotto.
Oggi, a poco più di 160 anni da quel Carnevale, il Giandujotto è candidato come prodotto IGP. Sarebbe una svolta storica, sugello che renderebbe giustizia a uno dei cioccolatini più famosi e amati al mondo.
Estrusione e concaggio: come si fa un Giandujotto
I primi esemplari, come è facile intuire, erano realizzati a mano. Nel Novecento, invece, il Giandujotto si è trovato di fronte a un bivio: restare fedele ai gesti lenti dei maestri torinesi, o farsi strada nelle linee produttive dell’industria. È ancora possibile ritrovare queste due filosofie nei due metodi con cui, ancora oggi, i Giandujotti vengono realizzati.
L’erede diretto della tradizione è sicuramente il metodo a estrusione, che prevede che il composto venga deposto su una piastra senza stampi, lasciando che la sua forma nasca quasi da sé, come un tempo, con la mano attenta del pasticciere a guidarla. Il metodo a concaggio, invece, utilizza stampi destinati a modellare ogni pezzo, come identico a quello precedente.
CioccolaTò 2026 – il Giandujotto in scena
Il gianduiotto sarà uno dei protagonisti di CioccolaTò 2026, l’appuntamento internazionale che celebra l’eccellenza cioccolatiera torinese. Non sarà soltanto merce che andrà a ruba sui banchi di Piazza Vittorio Veneto, ma prenderà il posto d’onore al centro di degustazioni e laboratori. Eventi per grandi e piccini, conferenze specialistiche e percorsi che raccontando la storia della città attraverso uno dei suoi simboli più riconosciuti.
Quel cioccolatino, nato da un’intuizione tutta piemontese, delizioso ma anche portatore di significati che superano i secoli e sussurrano, a chi sa ascoltarli, gli intrecci che rendono l’arte dolciaria italiana così speciale. Un assaggio che, da solo, vale il viaggio.
