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PFAS e cibo: cosa cambia per la sicurezza alimentare e la filiera del gusto
(Agen Food) – Roma 08 ott. – Negli ultimi mesi il tema delle sostanze PFAS è tornato sotto i riflettori, anche nel mondo food. Dalle inchieste giudiziarie alle analisi sulle acque minerali, cresce la preoccupazione per la presenza di queste sostanze “invisibili” ma persistenti, capaci di contaminare acqua, organismi viventi e, potenzialmente, anche alcuni alimenti che arrivano sulle nostre tavole.
Cosa sono le PFAS e perché se ne parla tanto
L’acronimo PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) identifica un’ampia famiglia di composti chimici utilizzati da decenni per rendere i materiali impermeabili, antiaderenti o resistenti al calore e agli agenti chimici.
Le PFAS si trovano ovunque: nei rivestimenti delle padelle antiaderenti, nei contenitori per alimenti, nelle carte da forno, nei packaging take-away, ma anche in tessuti tecnici e prodotti industriali. Sostanze di grande pregio per efficienza e versatilità, le PFAS presentano però un difetto rilevante: non si degradano facilmente: si accumulano nell’ambiente e, col tempo, anche negli organismi viventi.
PFAS e sicurezza alimentare: l’Europa stringe le maglie
Per l’impatto che possono avere su ambiente, acqua e alimenti, l’Unione Europea sta adottando un approccio sempre più restrittivo nei confronti delle PFAS.
Il Regolamento REACH, principale riferimento europeo per la registrazione, valutazione e limitazione delle sostanze chimiche, prevedeva in origine limiti solo per alcune categorie di PFAS. Negli ultimi anni, la normativa si è evoluta rapidamente, estendendo il proprio campo d’azione anche alla sicurezza alimentare e ai materiali destinati al contatto con alimenti.
Tra i provvedimenti più recenti, si segnala il Regolamento (UE) 2022/2388 che ha introdotto per la prima volta limiti massimi per alcune PFAS specifiche (PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS) in uova, carne, pesci e molluschi, ovverosia in alimenti che, per natura o posizione nella catena alimentare, possono accumulare tali sostanze a causa di acqua o mangimi contaminati.
Un passo altrettanto significativo è rappresentato dalla Direttiva (UE) 2020/2184, che ha aggiornato la normativa europea sulla qualità delle acque destinate al consumo umano. Essa richiede agli Stati membri di monitorare la presenza di PFAS e di introdurre limiti vincolanti entro il 12 gennaio 2026. Tale nuova normativa potrebbe avere un impatto considerevole su gestori del servizio idrico, aziende produttrici di acque minerali e operatori del settore alimentare che utilizzano l’acqua come ingrediente o componente dei processi produttivi.
A completare l’inasprimento del quadro regolatorio, arriva da ultimo, anche il Regolamento (UE) 2024/2462, che introduce nuove restrizioni sull’acido perfluoroesanoico (PFHxA), una delle PFAS più diffuse. Questa sostanza, spesso utilizzata per rendere imballaggi e materiali a contatto con alimenti più resistenti ai grassi e all’umidità, è finita sotto osservazione per la sua persistenza nell’ambiente e il rischio di contaminazione indiretta degli alimenti. A partire dal 10 ottobre 2026, sarà vietata l’immissione sul mercato e l’utilizzazione, oltre determinate soglie, di carta e cartone contenenti PFHxA destinati al contatto con alimenti.
Dalla compliance ai consumatori
La crescente attenzione verso le PFAS segna un punto di svolta per l’intera filiera alimentare europea e, più in generale, per l’evoluzione stessa del concetto di sostenibilità.
Essere sostenibili significa oggi anche assicurare il rispetto degli standard di sicurezza chimica, di tracciabilità dei materiali e la piena conformità alla normativa, lungo l’intera filiera.
In questo scenario, la competenza legale diventa un fattore chiave: aiuta le imprese a orientarsi nella complessità del quadro regolatorio, a prevenire i rischi e, soprattutto, a trasformare la compliance da semplice obbligo formale a leva di innovazione e di fiducia nei confronti di consumatori e stakeholder.
A cura degli Avv.ti Martina Maffei e Spartak Kodra, Studio Legale Herbert Smith Freehills Kramer
