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Lucio Corsi all’Eurovision, Io al Ristorante Macchiascandona
(Agen Food) – Castiglione della Pescaia(Gr) – di Massimiliano Cinque – Gli occhi di nonna Milena — profondi, vissuti, sinceri — emanano una luce intensa, così calda e avvolgente che ti conquista al primo sguardo: ti rassicura, ti accoglie, quasi ti entusiasma. È lei l’anima del Ristorante Macchiascandona, rifugio di sapori veri nella Maremma, a due passi dal mare azzurro di Castiglione della Pescaia che, all’orizzonte, disegna le sagome leggere dell’Elba e del Giglio — premiato quest’anno con la Bandiera Blu, riconoscimento europeo per le località che rispettano criteri rigorosi di sostenibilità e tutela ambientale.
Milena, fin dagli anni Sessanta, sta lì, ai fornelli, a preparare piatti che non vogliono stupire con virtuosismi, ma che raccontano — con il linguaggio semplice e profondo delle cose autentiche — il territorio, le sue stagioni, la sua verità. Niente orpelli, niente finzioni. Solo gusto, attenzione, rispetto per la materia prima. E meno male, verrebbe da dire.

Se c’è un piatto che racconta Milena, che la rende celebre, premiata, amata da chiunque abbia varcato la soglia del suo ristorante, è il tortello maremmano, nella sua versione più autentica, più sua. Una sfoglia corposa, rigorosamente tirata a mano — con quelle mani forti e sapienti che hanno impastato decenni di stagioni e di vita — fatta con cinquanta, a volte sessanta uova, a seconda del numero di prenotati. Dentro, un ripieno semplice: ricotta, bietola, spinaci. Tutto qui.
Una ricetta che non è mai cambiata, impermeabile al tempo, alla moda e persino alla tecnologia. Perché, racconta nonna Milena, qualcuno le ha pure suggerito di farsi aiutare da qualche macchina, per rendere meno faticoso il lavoro. Ma lei niente: ha sempre rifiutato, ostinata e fedele, come solo chi crede davvero in quello che fa. Forse è proprio questo il segreto dei suoi tortelli, che più volte sono stati giudicati — e non a torto — i migliori del mondo.
Ad affiancare nonna Milena nel Ristorante Macchiascandona ci sono le sue due figlie: Nicoletta, che con garbo e occhio attento coordina la sala, e Giovanna, che veglia sui fornelli con la stessa dedizione materna. Senza di loro, oggi, il lavoro sarebbe diventato insostenibile. Perché, da qualche mese a questa parte, la fama è esplosa. Tutto è cambiato da quando Lucio Corsi ha quasi conquistato il Festival di Sanremo e ora corre verso la finale dell’Eurovision.
Già, perché Nicoletta è la mamma del cantautore, e nonna Milena è, da sempre, la sua più appassionata fan.
I fan di Lucio, ormai, arrivano ogni giorno. Si fermano, sperano di trovarlo lì, seduto in un angolo o intento a scrivere una canzone tra un bicchiere di vino e una forchettata di tortelli. Ma Lucio, spesso, non c’è. E allora si consolano con i quadri di Nicoletta, che adornano la sala con un’eleganza rustica e onirica: opere ormai celebri, diventate copertine dei suoi album, parte stessa del suo immaginario musicale. Ma quando arrivano i piatti in tavola — quei piatti veri, contadini, onesti — le canzoni si dissolvono, e restano i sapori, forti, nitidi, irrinunciabili.
Oltre agli iconici tortelli di ricotta e spinaci, condita con burro e salvia o al sugo, sono stati i tagliolini al ragù ad accendere le mie papille gustative. Pasta rigorosamente fatta a mano, ruvida il giusto per trattenere il sugo. Un ragù semplice, diretto, quasi umile: solo carne di vitello e pomodoro. Nient’altro. Perché la tradizione, qui, non si piega. Resta ferma, immutata, come certe verità che non hanno bisogno di essere dette. Basta assaporarle.
L’antipasto? Il più semplice possibile, e proprio per questo perfetto: fiori di zucca fritti. Una pastella leggera, ariosa, creata a regola d’arte, dove la leggerezza dell’olio — mai invadente, mai stanco — è il segno distintivo di chi conosce davvero i segreti del fuoco e della padella. Giovanna, Milena e Nicoletta non cucinano soltanto: sono custodi di una cultura gastronomica che si trasmette a voce bassa, con i gesti, con la memoria delle mani.

Anche gli zucchini ripieni, nella loro versione, non cercano di stupire con effetti speciali. Sono semplici, ma intensi: carne di vitello, parmigiano, erbe fresche. Nulla di superfluo, tutto calibrato. Il risultato? Un sapore pieno, che rimane, che evoca, che apre cassetti della memoria in chi, anno dopo anno, torna qui a ritrovare non solo un gusto, ma un pezzo della propria storia.

La carta dei vini è snella, essenziale, come dev’essere. Qualche cantina locale, qualche nome da fuori, scelti con misura. Etichette che accompagnano, che rispettano il piatto senza volerlo oscurare. Una selezione enologica sobria, e per questo autorevole.
Però nonna Milena è stanca. Lo dice con un sorriso appena accennato, abbassando lo sguardo verso le mani che non hanno mai smesso di impastare. Vorrebbe soltanto godersi un po’ la vita, sedersi là fuori, sotto il pergolato, e guardare il mare. Ascoltare le canzoni del nipote che corre veloce verso l’Europa.
Oggi, sera di finale dell’Eurovision, in sala si percepiva un fremito, un’agitazione sottile, quella specie di ansia bella che accompagna gli eventi importanti. Ma lei no. Milena non freme, non si agita. Lei vorrebbe solo che Lucio tornasse a casa, anche solo per un attimo. Che si sedesse a tavola con lei, che mangiasse qualcosa. Perché, in fondo, è tutto quello che desiderano davvero le nonne: veder tornare i propri nipoti, e riempirgli il piatto.
